domenica 17 marzo 2013

La fine del giorno

Ripenso a quei corridoi enormi e bianchi percorsi milioni di volte. La luce del sole dalle grandi finestre e nello stomaco un enorme pugno chiuso che mi impediva di crollare e che anzi mi spingeva, mi dava un passo sicuro sui miei alti zatteroni estivi. Dovevo chiudere le lacrime nel pugno,far brillare   quegli occhi che vagavano smarriti. Dovevo trasmettere a mio padre, ricoverato per l'ennesima volta, un "senso di normalità" pur essendo malato di un tumore. Provo disagio ancora a nominare una parola innominabile. Ho vissuto anni in cui tutti noi, la mia famiglia, abbiamo costruito un muro di protezione (o così credevamo) intorno a lui, non pronunciando quel nome che suona come una condanna. "Cancro suona come un'espressione socialmente sconveniente, circondata da tabù, reticenze, silenzi scaramantici" come dice Pierluigi Battista nel suo ultimo libro.
Sono ricordi che fanno ormai parte di me, tornati fuori in modo prepotente leggendo l'ultimo libro di Pierluigi Battista,"La fine del giorno" un diario. Il diario di una malattia impronunciabile che ha colpito sua moglie.
E' un atto di coraggio scrivere di fatti personali tanto dolorosi e riuscire a scriverne senza sbavature di autocommiserazione. Ogni pagina di questo diario fa trasparire la  "profonda ripugnanza" per quella "orribile escrescenza del dolore che è l'autocommiserazione, una forma spaventosa di egocentrismo del superstite, un sentimento riferito solo a sé stesso e non alla persona che ha subito il massimo dell'affronto e non è nemmeno più in grado di lamentarsene".
Ogni pagina di diario ci riporta alla "solitaria Adirondack di colore rosso e di struggente malinconia... il soggetto di un'opera di Paul Schulenburg esposta in un museo intitolato a uno degli artisti che lei amava di più Eduard Hopper". L'immagine che ci rimane leggendo il libro è quella bellissima del suo "fiero atto di ammutinamento morale, il rifiuto di farsi annichilire come persona integra, non riconducibile all'unica e totalizzante condizione di inferma incapace di vivere". Non perdere il senso dell'ironia,non smettere di canzonare amabilmente, rimanere aggrappati alla "normalità", che può essere rappresentata dallo scambiare un'enorme libro sui tumori, con un'enorme granchio, karkinos, sulla copertina, per un libro sui segni zodiacali. Perchè quella normalità è vita e perchè la vita è fatta di speranza, che è l'unica cosa che vorremmo non ci venisse mai tolta e che solo persone grandi riescono ad avere sempre nascosta in un angolo del cuore.
Leggere questo diario, e ripiombare in quell'indescrivibile coacervo di sentimenti che si provano anche solo leggendo una pagina memorabile dell' Idiota di  Dostoevskij dove si descrive il drammatico sentire del condannato a morte. "Se potessi non morire! Se si potesse far tornare indietro la vita, quale infinità! E tutto ciò sarebbe mio. Allora trasformerei ciascun minuto in un intero secolo, non ne perderei nulla, terrei conto di ogni minuto e non ne sprecherei più nessuno!"





mercoledì 6 marzo 2013

YSL e i magnifici Settanta

Qualcuno ha scritto che il disegno di Yves Saint Laurent è come la scrittura dell'aria del proprio tempo scandita dai viaggi del proprio immaginario. Vedendolo nei filmati anni settanta che lo ritraggono con i suoi occhialoni intramontabili, sentendo la sua voce calma ripetere "J'adore mon époque", si viene sbalzati, come per magia, negli anni in cui Barry White cantava "let the music play".
 Senza dimenticare che"la mode n'est pas un art meme si elle a besoin d'un artiste pour exister" come ha detto Pierre Bergé a margine della retrospettiva al Centre Pompidou di Yves Saint Lauren nel 2002, l'impressione è quella di immergersi in un'atmosfera sognante, la stessa in cui da bambini guardavamo assorti nostra mamma guidare con chignon ed occhiali da sole che le coprivano metà della faccia.
 Ci sembra una magia quella che riporta dalla mostra su Yves Saint Lauren "A visionary", a Bruxelles dal 30.1.2013 al 05.05.2013, in piena "rive gauche mania". Per capire il fenomeno che ha interpretato e letteralmente mandato in delirio un'epoca riportiamo il pensiero di Claude Berthold "...c'est la furie, la tuerie du matin au soir. Si vous aimez essayer tranquillement (des robes de jersey à partir de 250 F, des manteaux à 450 F, des tailleurs à 600F), faites comme Catherine Deneuve ou comme Mireille Darc: venez plutot à l'heure du déjeuneur".
Il visionario, il moderno, il sognatore completamente a suo agio nella sua epoca rivoluzionaria veste le donne più charmantes del suo tempo. A partire da Claudia Cardinale , misteriosa principessa indiana nel film "La Pantera rosa", vestita dalla testa ai piedi con lo straordinario guardaroba disegnato per lei da Saint Laurent, passando per la figura emblematica di un'intrepida giovinezza Françoise Sagan, per arrivare a Catherine Deneuve, icona di stile nell'immortale "Belle de Jour".
E poi soffermarsi e riconoscere in abito bianco tra le modelle che hanno sfilato allo Stade de France nel 1998, una Carla Bruni radiosa, che forse già presagiva il suo futuro da francese naturalizzata.
I suoi schizzi per le collezioni dal 1962 al 2002, i suoi tailleur pantalone impreziositi da bottoni gioiello, gli smoking ed i vestiti maschili ingentiliti dalla mussolina di seta e dalle decolté, vestiti pensati per una donna che si sente a suo agio nella sua pelle, moderna, che non ha bisogno di cambiarsi, ma solo di accessori modulabili. Una semplicità sofisticata che rivedo nei gesti, nello stile, nel modo di assaporare l'esistenza aspirando una sigaretta, proprio di un'epoca e delle persone che abbiamo trasformato in icone.