mercoledì 24 luglio 2013

Istanbul

Perdersi per le strade di Istanbul, smarrendosi tra le pagine dei romanzi di Orhan Pamuk.
Amare le foto in bianco e nero di Ara Guler e con esse l'atmosfera rarefatta di una Istambul "datata" dove "il vecchio e il nuovo si uniscono in una trama di degrado, miseria e umiltà all'interno di una tradizione che continua nonostante gli sforzi di occidentalizzazione"("Istanbul", Einaudi).
E non riuscire a staccarsi da quelle fotografie, come catturati dall'incantesimo di un mondo in bianco e nero fatto di sobborghi, di viali lastricati, di antichi tram.
Amo la Turchia, amo i suoi abitanti, amo il rapporto conflittuale e complesso tra cultura orientale e cultura occidentale che ad Istanbul trova il modo di coesistere.
Come sostiene il vincitore del premio Nobel  "Leggere romanzi significa confrontarsi sia con la fantasia dell'autore sia con una realtà che ci appartiene e ci incuriosisce". E allora camminiamo per le vie di una città che non è fatta solo di case, monumenti e scorci mozzafiato, ma diventa per Pamuk una sorta di fragilità e indecisione su sé stesso e sul luogo cui appartenere. E ci rispecchiamo nelle acque del Bosforo, come nelle sue parole. "Scrivo perché la vita, il mondo, tutto è incredibilmente bello e sorprendente" e ancora " scrivo per sfuggire alla sensazione di essere diretto in un luogo che, come in un sogno, non riesco a raggiungere"("La valigia di mio padre", Einaudi). Così, attraverso le sue pagine incantate ci sembra di vedere nei pomeriggi estivi quella luce straordinaria che unisce il rosso del cielo al buio misterioso del Bosforo, i suoi battelli con i comignoli fumanti.
Ci viene voglia di prendere un motoscafo, come faceva l'autore da bambino, per spiare Istanbul sia da vicino, casa per casa, quartiere per quartiere, sia da lontano come una silhouette che cambia continuamente.
Ci trasformiamo nei suoi abitanti distratti che camminano a bocca aperta, molti si scontrano, gettano a terra i biglietti, i coni gelati e le pannocchie e i pedoni procedono sulla strada, mentre le auto viaggiano sui marciapiedi. Riconoscersi anche nel sentimento di tristezza che accomuna Pamuk, che da bambino guardava il mondo e Istanbul attraverso un vetro appannato, e la sua città. E ci sembra di comprendere le parole dello scrittore quando dice che "Qui le rovine convivono con la città. Ed è questo ad affascinare molti viaggiatori e scrittori di viaggi. Ma le antenne della città ricordano ai suoi abitanti sensibili che la forza e la ricchezza del passato sono scomparse insieme a quella cultura, e il presente è povero e confuso e non si può confrontare con il passato".

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