martedì 8 ottobre 2013

Il silenzio, mia sorella

Erano attimi che potevano durare mesi, erano frazioni del tempo dell'anima non quantificabili dove avveniva quel miracolo niente affatto anagrafico di capire una volta ancora di essere sorelle.
Tutto era iniziato un giorno o forse un altro. Non accadde certo quando nacque sua sorella, ma un pò più tardi.
Le insegnava come si doveva fare per mettere la fiala nella flebo. E sembrava un carro armato.
Niente sembrava scalfirla. Sua sorella, invece, era un fuscello, una foglia gracile e mobile ad ogni sbuffo di vento. La guardava e cercava di imparare da lei qualcosa che non si può apprendere.
Perché se sei uragano trascini ogni elemento, particella che incontri. Se sei brezza puoi al massimo muovere una ciocca di capelli come in una carezza.
L'uragano con quel suo andare ondivago e un pò violento mette in campo tutta la sua energia. Poi si placa, poi rinasce dopo aver fatto volare case, automobili, alberi. La brezza non ha quest'energia, tutt'al più può dar refrigerio in un mattino d'estate, ma non solleva nessuno, né trascina.
Non si può imparare ad essere uragano.
Mettere la fiala, fare iniezioni, massaggiare piedi dove la circolazione si è quasi fermata scuote nel profondo. Come passare mattine e pomeriggi interi per corridoi bianchi e immensi, fare file con un numero, perennemente sospesi in un tempo ovattato dove tutto si ferma nei visi delle persone, nello sforzo sovrumano di  vedere chi si ama soffrire.
"Sto imparando. Devo ancora imparare a scrivere, a parlare."  scrive mia sorella ( Il silenzio, Storie in 100 parole, L'Estroversa), e mi dice che le cose importanti spesso restano chiuse nel cuore.

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